domenica 5 maggio 2013

Apriti che devo entrarti.

Le parole uscivano dalla sua bocca come disegnando un'onda, un saliscendi di alti e di bassi, a tratti interrotto, silenziato quasi – a spezzarne le parole, quasi se le rimangiasse.

Apriti che devo entrarti, le avevo detto, solo questo. Aveva aperto la piccola fregna, tutta coperta di peli spessi e neri, arricciati dalla voglia che le scorreva dal ventre: il sole di quel pomeriggio colorava la sua intimità di tutte le gradazioni del viola, fino al rosso luminoso del sacrificio più profondo.

Né questa volta, né le altre facevamo l'amore: il suo corpo minuto, destinato alla dolcezza, e il mio, che l'esperienza, l'età e l'esercizio nel fotterla avevano reso ancora più virile e robusto, testimoniavano senz'altre parole la concretezza, la crudezza del sesso che ci univa. Apriti che devo entrarti, era il mio abracadabra; e mentre le piccole labbra della sua fessura si schiudevano, come forzate dal mio sguardo, le innalzavo fra le cosce spaccate il mio monumento al sesso, tutta l'arte che le avevo insegnato e che lei venerava col suo ventre, con la sua esistenza.

Quasi avevo temuto di romperla, quella volta, come ogni altra; temuto e desiderato follemente di poterla lacerare, penetrandola, irreparabilmente, nell'animo e nel corpo, tanto mi sembrava potente lo strumento con cui l'avrei incisa, di contro alla delicata, ed esperta malizia del suo pube nero, paradossalmente ancora spalancato e chiuso.

Apriti che devo entrarti, avevo sussurrato appena, con la voce; quasi urlandolo, invece, con la mia cappella scoperta, severa, con cui le massaggiavo la fregna, tutta, fino a trovarlo, finalmente, quello scoglio piccolo e duro contro cui cozzare, più volte: come uno scontro, una piccola guerra che le piegava il capo e l'animo, sottomessa, definitivamente, alla legge della necessità più forte.

Vincerla e fotterla era tutt'uno, ogni volta e anche quella: come a svuotarmi in un colpo solo di tutta la voglia trattenuta nell'addome e nel petto, le scagliavo il nome sul viso, ferocemente urlato, e il cazzo, contro il fondo della fica, come una dura martellata assestata dal mio corpo. Mi guardava e declinava scuse e preghiere e gratitudine, a labbra chiuse, con una lacrima sottile che le scendeva da un occhio solo, ogni volta; hai una fregna che si bagna anche lì, sul viso, le dicevo ridendo, e caricavo un altro colpo e poi di nuovo, un altro ancora, per guardarla gocciolare.

Poi, più piano, quella volta, avevo preso a danzare nel suo varco finalmente riservato e dedicato al mio bisogno, finchè ne avessi; lentamente l'avevo girata su sé stessa, facendola ruotare attorno al perno che l'aveva infilzata e trapassata nella carne e nei pensieri, finchè non m'aveva offerto l'unica sua morbidità, quella del culo volgare e rotondo, dove aveva nascosto a tutti e a sé stessa, ma non a me, infine, la sua perversione. Dandole tutta la spinta del mio cazzo, come primo motore, l'avevo trascinata, a poco a poco, da dietro, fino alla sua libreria, che da tempo, come la sua fregna, mi accoglieva nella forma dei libri, i miei, di cui si cibava voluttuosa, a volte fino a rinunciare al sonno, al pasto, alla masturbazione perfino, mi diceva.

Apriti che devo entrarti, le avevo ripetuto, e la sua bocca si era schiusa per raccogliere e serrare fra i denti uno fra i libri, che le aveva fatto pulsare la fica al solo ricordo, mentre lo mordeva affamata. Sull'una, poi sull'altra natica l'avevo battuta, con la mano secca e dura, senza estrarre il paletto impietrito che le avevo piantato bene in fondo; come a darle un tempo, un ritmo, l'avevo battuta crudelmente, finchè la voce, pian piano, prese forma, una voce sinuosa che solo il mio sesso spietato le donava:

Due voci mi parlavano. Una, insidiosa e ferma, diceva: "La terra è un dolce pieno di dolcezza; io posso ( e il tuo piacere sarebbe allora senza limiti) infonderti un appetito d’eguale grossezza".
E l’altra: "Vieni, oh, vieni a viaggiare nei sogni, al di là del possibile, al di là di quanto si sa!". Un verso, dietro l'altro, tanti, dopo questi, lentamente con la voce che tremava, ma senza fermarsi: a tratti i suoni quasi si piegavano, arretrando come rumori distorti, poi, come sollecitati dalla mia necessità, tornavano a marciare ancora, come a dare senso e direzione al desiderio che le agitavo dentro, come a mescolarne i pensieri, da tanto.

Apriti che devo entrarti, le dissi ancora, con la voce approfondita, temperata dal tempo passato a fotterla in silenzio, estraendo ogni suono da lei, dirigendone il corpo come un'orchestra. Lo feci io per lei, però, questa volta: premendo il suo volto sul libro, le spensi la voce, quasi come soffocando il lume di un'esile candela; e il mio cazzo bagnatissimo di lei, e pulsante dell'orgasmo imminente, sprofondò nel buco del suo culo appena schiuso, l'umile vaso in cui seminavo il mio piacere, invocando il nome di lei ad ogni schizzo.

Così arai e seminai, anche quel giorno, la mia femmina; il cazzo, appoggiato al suo viso, continuò a sussurrarle a lungo, poi, i pensieri che lei stessa da troppo si taceva. Il suo ventre, sigillato da ogni parte dai nastri che avevo apprestato per richiuderla, digeriva la mia lezione, profondamente, dove la sua mente non sarebbe mai arrivata, dove solo l'aveva aperta e sorpresa, dove senza difese, il mio cazzo.

4 commenti:

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  2. Ti ringrazio ancora per le lusinghiere parole e per la tua articolata "recensione" dei miei scritti.
    Cogli sicuramente un punto che mi è caro, rilevando la presenza di un sottofondo "poetico" nei miei testi. Da sempre coltivo un interesse per la poesia, ho letto profondamente diversi autori recenti e contemporanei, e io stesso in passato, ho esercitato la mia scrittura in forma di versi. Come diceva R.Barthes, "La carne non è oscena, ci vuole molta poesia per raccontarla". Poesia per me significa soprattutto precisione, sintesi. Occorre nominare la cosa - la cosa del corpo, del sesso - con la precisione necessaria. La precisione è la forza della scrittura.
    Io non ho timore della volgarità, al contrario. Penso che la sessualità sia volgare, nel senso che è ciò che accomuna tutto il Vivente - tutto ciò che vive - in forme e sensazioni che sono per lo più elementari, istintive, comuni a tutti. La mia scrittura non intende sublimare questa volgarità, intende invece affrontarla di faccia, senza riserve: ri-conoscere l'animale che siamo, evocarlo. Anche se sono consapevole che per l'uomo il sesso è ormai tante altre cose, e anche, come dici tu, una forma d'arte o di letteratura; ma il sesso è innanzitutto il desiderio, la sua manifestazione che genera, produce, instaura.
    In questo senso i miei scritti, in qualche modo, aspirano a nominare, instaurare. A manifestare il desiderio, per quanto possibile, così com'è.

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  4. Anche se è una banalità, sono in ogni caso convinto che l'unico vero organo sessuale sia il cervello. Il cazzo, le mani, gli odori e tutto il resto sono strumenti potenti e necessari, ma il linguaggio e il pensiero devono guidarli e servirsene, per fottersi bene la femmina, per fotterla davvero. Credo che sia lo stesso anche per il maschio, ma la femmina forse lo riconosce di più, è più consapevole di questo bisogno di essere penetrata fin lì - fin dentro l'inconscio, fino all'Es. Che il maschio arrivi a toccarla, dove essa non ha il controllo di sè, in quella intimità sfuggente, segreta, protetta, che però non aspetta e non chiede altro, se non di essere messa a nudo, violata, predata.

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